domenica 1 dicembre 2013

La differenza di chiamarsi Juventus

A Natale si è tutti più buoni. E anche se siamo appena al primo dicembre, ecco che l'atmosfera natalizia si impadronisce del campionato di calcio, con tutte le grandi meno una a elargire regali e punti a destra e a manca. Meno una, si diceva. Quella cannibale, quella senza ritegno, cuore, quella che vince con le unghie e con i denti. La Juventus.

Lo si era detto, lo si diceva, si sta verificando. Per un po' c'è stata la Roma a distrarci, ma alla fine non c'è stato verso di cambiare le cose. Questa Juventus, per il nostro calcio, è troppo. Troppo forte, troppo organizzata, troppo affamata, troppo pronta. Troppo italiana. Pregio e limite dei bianconeri, che passano il turno in Champions faticando a bestia e poi centrano il miglior inizio stagione dell'era Conte. Pareggiano con Copenaghen e Galatasaray e poi si ritrovano a più tre sulla Roma e a più nove sul Napoli.Una disfonia di potenza ancora forte, ma che sottende ad un dominio sul calcio nostrano che pare, ad oggi, impossibile da scalzare.

Prendiamo la giornata di campionato ancora in essere: l'Inter si fa recuperare dalla Sampdoria, la Roma prende un punticino solo negli ultimi minuti nella trasferta a Bergamo. La Juventus vince al novantunesimo contro la migliore Udinese della stagione. Soffrendo, tirando per i capelli la partita, e alla fine avendo ragione.

Sta qui la differenza, in una potenza emotiva e di carattere troppo distante dalla titubanze della concorrenza. Merito della fortuna, diranno gufi e maligni. Indubbiamente, aggiungiamo noi neutrali. Che però togliamo il grasso dal prosciutto del tifo e sottolineamo come la fortuna la ottiene chi va a cercarsela, chi cerca di meritarsela. La Juventus è progredita proprio lì dove era necessario progredire, nella qualità e nella prolificità degli uomini offensivi. Le danze stagionali del gol le ha aperte Tevez, poi è toccato a Llorente prendersi il centro dellla scena, in un duetto di gol che fa sentire lontanissimi gli echi della volubilità di Vucinic, degli sfarfallii di Giovinco, delle pur positive esibizioni di Quagliarella. Aggiungiamo a questo enorme dettaglio la crescita esponenziale del mostro Pogba, i recuperi degli infortunati di inizio stagione e la sagacia di un mago della panchina come Conte. Ecco un cocktail perfetto, dalla gradazione troppo alta per una Serie A non in grado di assorbire tanta forza d'urto. E che rimane giustamente indietro.


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