domenica 10 novembre 2013

Del Piero, Zanetti, Lippi: eccellenze al di là delle bandiere

Alessandro, Javier, Marcello. Per chi come me ha avuto la fortuna e la volontà di crescere a pane e calcio, e ha avuto il piacere temporale di godersi gli ultimi anni novanta e i primi duemila di racconti pallonari, questi tre nomi propri avranno tre cognomi fissi di destinazione.

Il caso ha voluto che il nove novembre del 2013 sia stato il giorno della celebrazione per tutti e tre questi mostri sacri del pallone italiano, tra ricordi malinconici a ciò che è stato e addirittura sguardi ad un futuro prossimo che ancora avrà i tratti inconfondibili delle loro facce. Del Piero, Zanetti, Lippi: la grande Serie A dell'ultimo decennio tutti liofilizzati in una giornata speciale, che ha consacrato, o meglio consacrato nuovamente, ancora, per l'ennesima volta, i loro nomi all'immortalità calcistica.

Da Sidney con furore. Il numero dieci bianconero (lo è ancora, con buona pace di un campione come Tevez) festeggia in campo i suoi trentanove anni. Con la salute, la forza e la voglia di giocare di un ragazzino alle prime armi, che si getta con entusiasmo nella prima grande avventura della carriera. Del resto, la forza di Del Piero è sempre stata quella di anteporre il piacere del gioco a quello delle parole, la gioia del gol a quello di un'intervista, di un tweet o di una ospitata in una trasmissione. Del Piero ha avuto mille vite, come calciatore: quasi tutte nella Juventus, non tutte bellissime, ma nessuna insignificante o dimenticabile. Ma soprattutto, nessuna per cui qualcuno abbia potuto criticare l'uomo oltreché il calciatore. Del Piero ha diviso come puro rendimento calcistico, ma ha sempre unito come talento, come arte applicata alla sfera di cuoio, e soprattutto come umanità inoculata del calcio. E chi rinnega e ha criticato, o critica ancora a prescindere, a distanza di anni, o specula, ha due identikit precisi: o non capisce nulla di calcio oppure mente spudoratamente.

Welcome Back, Pupi. Bianconero Del Piero, nerazzurro Zanetti. E non parliamo di appartenenza ad una gamma di colori, ma proprio di una definizione cromatica. Come il rosso Bologna, il verde smeraldo e via discorrendo. Se Del Piero rappresenta il bianconero per eccellenza, Zanetti è il contraltare interista. Ieri è rientrato, dopo la rottura del tendine di Achille. Per lui, sei mesi e rotti di stop. Tutto nella norma, pensano gli ignoranti: un brutto ma naturale infortunio per un calciatore, e un tempo giusto per un rientro difficile dopo un'operazione. Il problema è che il lungodegente, cari signori, ha quarant'anni suonati, compiuti lo scorso agosto. Eppure ieri sera è rientrato in campo, in un commovente coro di applausi e cori. Perchè ci ha creduto fin dal primo momento, perchè non ha voluto ascoltare i catastrofisti, gli infedeli, i falchi della "carriera finita". Perchè lui è l'Inter, la sente troppo addosso, e non poteva salutare una carriera da favola in un modo così traumatico e in un momento così delicato per la storia nerazzurra. Javier è tornato perchè sente di poter dare ed essere ancora tanto. Ed è quasi certo che tra nerazzurri e non, siano in pochi, in Italia, ad essere così miopi e stupidi a non applaudire ammirati a questa incredibile fiaba.

欢呼, Marcello. Internet mi segnala che quei due sgorbi vogliono dire "bravo". L'unica parola meritata da un allenatore indubbiamente antipatico, arrogante, pienissimo di sé, ma anche eccezionalmente dotato. L'impresa è di quelle non da poco, di quelle che fanno entrare dritti nei libri di storia del calcio. Marcello Lippi da Viareggio è il primo allenatore di sempre capace di portare a casa due Coppecampioni, o Champions League che dir si voglia, in due continenti diversi. Se il volo in Cina di un anno fa poteva sembrare una dorata, strapagata ed esotica pratica di prepensionamento, le vittorie in serie colte dal suo Guangzhou rappresentano l'ennesima conferma della fama meritata di vincenti dei nostri mister all'estero. Dopo le vittorie in bianconero e, soprattutto, il Mondiale di Berlino del 2006, Marcello ha saputo mettere da parte le delusioni sudafricane e ripartire dove nessuno avrebbe nemmeno pensato di mettere piede. E ha avuto ancora ragione lui, entrando di diritto nel guinness dei primati di uno sport affrontato da sempre con le stimmate del vincente.

Tre uomini, tre carriere da sogno. Ma soprattutto, tre storie che sopravanzano le divisioni di bandiera e uniscono tutti gli amanti del calcio in un coro di applausi a cui è impossibile non partecipare. Questo tipo di eccellenze sono da celebrare al di là delle sterili discussioni di bandiera o campanilismo tipiche del DNA di noi italiani. Proviamoci, almeno con loro.

Nessun commento:

Posta un commento